Carlo
Baldacci Carli
 
SULLA STRADA DI PONTE NOVO
 
        
         Quando il suo professore e futuro relatore gli assegnò la tesi su Francesco Domenico Guerrazzi, Andrea si offese credendo di aver ricevuto un incarico assai ingrato e senza nessuno sbocco in campo accademico. Proprio a lui, che amava la letteratura del novecento e che non nutriva interesse per il periodo risorgimentale, era toccata questa incombenza. Come la maggior parte dei giovani della sua generazione, non possedeva il concetto di Patria e la stessa idea di Nazione era un qualcosa di evanescente, l’intangibile immagine di un nulla tracciato su una cartina geografica. Leggere parole patriottiche, come quelle scritte dal Guerrazzi, era così anacronistico da sembrargli ridicolo.
         Dopo, un approccio svogliato a questa ricerca, Andrea decise di seguire le orme di Guerrazzi, sperando di terminare il lavoro velocemente e con il massimo risultato. Così, dopo essere stato a Livorno nella piazza del Santuario di Montenero per visitare la tomba dello scrittore, si imbarcò per la Corsica, dove Guerrazzi aveva trascorso tre anni in esilio.
         Era la prima settimana di maggio e le giornate erano calde, così Andrea trascorse l’intero viaggio sul ponte del traghetto, seduto su una sdraio prendendo il sole.
         Prima di partire aveva telefonato all’Associazione Dante Alighieri di Bastia nella speranza di trovare qualcuno che parlasse l’italiano e che potesse fargli da interprete. Madame Ferrari, così aveva detto di chiamarsi la sua interlocutrice, si era dimostrata di una gentilezza insperata e parlava un italiano perfetto. Gli aveva spiegato che al suo arrivo a Bastia, avrebbe dovuto recarsi al Cafè Les Palmiers, su quella grande piazza che fronteggia il porto turistico. Lo avrebbe trovato facilmente, perché era il bar ubicato dietro alla statua di Napoleone. Là avrebbe trovato la sua guida. Andrea le aveva domandato se sarebbe stata lei, ma madame Ferrari gli aveva risposto che avrebbe mandato qualcun altro in base alla disponibilità dei soci.
         Appena scese dal battello, le sue preoccupazioni svanirono. La piazza St. Nicolas era proprio davanti al porto, come gli era stato detto. Mentre attraversava la piazza verso la statua di Napoleone, una ragazza gli corse incontro, chiamandolo per nome. Si chiamava Ariana, aveva ventidue anni e parlava un italiano splendido. Andrea voleva domandarle come lo avesse riconosciuto, ma lei non gliene lasciò il tempo.
         “Ben tornato in Corsica”, gli disse con un sorriso seducente, dopo essersi presentata. Poi, lo invitò a sedersi al Cafè de la Paix che era proprio lì accanto.
         Andrea le disse che quello era il suo primo viaggio in Corsica e che non conosceva niente dell’isola. Ariana non commentò la risposta, limitandosi ad alzare le sopracciglia con incredulità.           “Credevo che tu fossi già stato qui!”, si giustificò.
         Passando al lavoro da svolgere, Andrea le spiegò che voleva ripercorrere le strade battute dal Guerrazzi, visitando i luoghi che hanno ispirato i suoi romanzi còrsi. Ariana disse che il primo luogo dove andare era Nonza, un villaggio sul versante occidentale del Capo Còrso, mentre il giorno seguente sarebbero andati a Ponte Novo.
         Poiché la ragazza non possedeva neppure la patente, noleggiarono un’auto e partirono. Mentre transitavano sulla strada che salendo sopra Bastia taglia la dorsale del Capo Còrso, Andrea fu colto da un’emozione indecifrabile. Il suo cuore aveva incominciato a battere velocemente e il suo respiro era corto. Avrebbe voluto fermare la macchina e scendere, ma la strada era troppo sinuosa e priva di piazzole d’emergenza. Ariana gli disse di continuare a guidare e, una volta raggiunta la sommità del massiccio montuoso, avrebbero potuto fermarsi in uno spiazzo. Andrea ubbidì e, quando finalmente poté scendere dall’auto, fu colto da un senso di vertigine. Non era dovuto all’altezza, né all’aria più fresca e rarefatta. Era il paesaggio. Egli poteva ammirare da un lato la costa orientale dell’isola che si perdeva in un lunga e sinuosa curva che delineava lo stagno di Biguglia. A largo vedeva anche l’Isola d’Elba e la Capraia, che disegnavano una continuità ideale con la Penisola Italiana. Sul lato occidentale la terra scendeva ripida verso il Golfo di San Fiorenzo e il cielo si perdeva nel mare in una varietà di colori che spaziavano dal verde dell'erba che si confondeva con il grigio delle rocce, al blu intenso dell’acqua, al bianco irreale di alcune piccole nuvole. Andrea respirò a pieni polmoni e le sue narici furono invase di profumi. L’aroma selvatico ed intenso di quella vegetazione contaminata da una tonalità aspra tipica delle terre che si affacciano sul Mediterraneo gli era famigliare, forse perché non era per niente dissimile da quello tipico dei litorali toscani e liguri. Eppure quello era un profumo più intenso, un odore capace di accedere direttamente a quelli che sono gli anfratti più reconditi della memoria dell’uomo, estraendo tutti quei ricordi che si credevano dimenticati. Era un odore di casa.
         La vertigine non lo abbandonò e, per un istante, Andrea credette di poter volare e di scendere lungo il pendio come un falco, sfiorare la superficie del mare, frastagliata da piccole onde, e risalire perdendosi nella luce del sole.
         Fu costretto a sedersi per terra. Ariana gli mise una mano sulla spalla e gli chiese se si sentisse male. Lui scosse la testa e le mentì dicendo che voleva soltanto riposarsi prima di ripartire. Ariana gli si sedette accanto e, facendo conversazione, Andrea le confidò che temeva di non trovare nessuno che lo capisse poiché egli non conosceva la lingua francese. Ariana si mise a ridere e gli spiegò che in Corsica tutti comprendono l’Italiano.
         Ripartirono pochi minuti dopo, ma, anche mentre guidava, Andrea non fu mai abbandonato da quel senso di vertigine.
         Nonza è arroccata su uno sperone roccioso che dal Capo Corso precipita nel mare. La sua ubicazione ha sempre costituito un ruolo strategico per la difesa delle coste dell’Isola.  Quando la raggiunsero, era il primo pomeriggio.
         Ariana prese Andrea per mano e lo guidò attraverso quell’antico “carrugio” genovese che dalla piazza principale del piccolo borgo, dominata dalla chiesa di Santa Giulia, passa fra le case e conduce alla Torre. Questa si erge, come un custode silenzioso, sulla sommità di una roccia che sovrasta incombente l’intero promontorio; sotto di essa si estende la famosa spiaggia nera di Nonza, che deve il proprio colore ad una cospicua presenza di amianto. Ariana si appoggiò al parapetto, che delimita la spianata, e invitò Andrea a raggiungerla. 
         Andrea la affiancò, sporgendosi. Restò ammaliato dal contrasto fra l’acqua cristallina, di un azzurro intenso, e il nero manto della spiaggia, su cui risaltavano scritte e disegni amorosi fatte dai giovani con sassi bianchi e grigi. Capì subito di trovarsi in un luogo dove il passato vive nel presente e dove il futuro è solo un’ombra del passato.
         Mentre Ariana gli raccontava della battaglia dell’agosto 1768 durante la quale Giacomo Casella da solo sconfisse le truppe del generale Grandmaison, Andrea si voltò verso la torre e vide sventolare sopra di essa la bandiera della Nazione Corsa di Paoli. Udì la deflagrazione degli archibugi accompagnata dalle grida dei soldati. Le sue narici respirarono l’odore della polvere da sparo e un fumo nero gli ottenebrò gli occhi. In quel momento non si trovava più a Nonza. Davanti a lui c’era un Ponte eretto su un corso d’acqua; sulla sponda opposta c’erano migliaia di pinzuti. Sì, pinzuti, i soldati francesi di re Luigi XV. Come mai conosceva questa parola?
         Fu la sensazione di un istante. La vertigine si era impossessata di lui. Ariana lo guardò con un sorriso e disse:
         “Ma che cosa ti racconto a fare tutte queste storie? Tu le conosci già! Tu sei già stato qui!”.
         Queste parole raggiunsero le orecchie di Andrea come se provenissero da lontano. L’udito era ovattato e la vista appannata. Per un attimo credette che la ragazza indossasse dei vestiti logori ed antichi. Il suo viso gli era così familiare e la sua bocca era così vicina che, se avesse avuto la forza, l’avrebbe baciata, ma la vertigine si era trasformata in un capogiro. Un colpo di sole, pensò.
         Era sudato e aveva sete. Cadde a terra boccheggiando e, mentre Ariana era china su di lui e gli sorreggeva delicatamente la nuca, perse i sensi.
         Mentre riprendeva conoscenza, sentiva un mutamento intorno a sé. L’aria era fresca e profumava d’incenso mescolato con l’aroma della cera delle candele. Quando riacquistò la vista, il volto di Ariana era chino su di lui e le sue labbra erano distese in un sorriso gentile. Quando Andrea le chiese dove si trovassero, lei rispose che aveva avuto un colpo di calura e che lo aveva portato al riparo dentro la chiesa di Santa Giulia. Andrea ripeté il nome della santa e aggiunse che era la patrona di Livorno.
         “Di Livorno e della Corsica”, continuò la ragazza.
         Lei gli bagnò le labbra con dell’acqua, dicendo che proveniva dalla fonte della leggenda sul martirio della santa. Poi, lo baciò e gli disse:
         “Ci rivedremo sulla strada di Ponte Novu”.
         La vista di Andrea si appannò e il ragazzo perse di nuovo i sensi.
         Quando si risvegliò, Andrea era disteso sul pavimento della chiesa e non c’era nessun altro. I suoi occhi cercarono Ariana senza trovarla. Si alzò e si precipitò fuori dalla chiesa, guardandosi intorno. Vide solo alcuni pensionati che giocavano a carte seduti al tavolo di un bar e dei ragazzini che saltavano la corda in mezzo alla piazza. Il suo cellulare squillò e Andrea rispose, sperando che si trattasse di Ariana.
         “Il signor Andrea Casella?”, chiese l’interlocutrice. Non era Ariana, era madame Ferrari che gli domandava se avesse avuto dei problemi. Andrea disse che non capiva, allora madame Ferrari gli spiegò che il dottor Poli, che avrebbe dovuto essere la sua guida, lo aveva atteso al Cafè Les Palmiers fino alle tre del pomeriggio. Andrea le raccontò di Ariana, ma madame Ferrari disse di non conoscerla.
         Conclusa la telefonata, Andrea chiuse gli occhi ed alzò leggermente la testa. Respirò a pieni polmoni i profumi della Corsica. La sua mente volò su un corso d’acqua, seguendone la corrente. Era il fiume Golo. Infine vide il ponte e vide sventolare il drappo con la Testa di Moro in campo bianco. Abbassò il capo e si mise una mano sul petto in ossequio alla bandiera.
         “Tu sei già stato qui!”, aveva detto Ariana.
         Sì, c’era già stato molti anni prima.
         Mancavano pochi giorni all’otto maggio e Andrea sapeva che avrebbe incontrato di nuovo la ragazza sulla strada di Ponte Novo, dove avrebbe conosciuto il  proprio destino in una Terra dove il passato vive nel presente e dove il futuro non è altro che un’ombra del passato.