Carlo Baldacci Carli
 

 

La Vendetta

 

Vagava randagio per i vicoli umidi e freddi della città. Non trovava angoli abbastanza scuri in cui nascondersi; non esistevano ombre così nere da riuscire a uguagliare le tenebre che albergavano nel suo cuore e obnubilavano la sua anima.
            Non aveva mangiato, ma tutto il suo corpo era pervaso da quell’energia propria della rabbia che segue il dolore.
            Quella notte la luna era alta nel cielo. Le nuvole erano scomparse dopo aver scaricato sulle strade tutta l’acqua che contenevano.
            V, questa era l’iniziale del suo nome, zoppicava ancora leggermente, ma le sue ferite erano ormai guarite. Aveva dovuto attendere che il suo organismo reagisse, nascondendosi nei luoghi più impensabili. In un primo tempo aveva anche creduto che non ce l’avrebbe mai fatta e che sarebbe morto come un cane abbandonato sul ciglio di una strada. Era stata la rabbia, ne era certo, ad alimentare il suo corpo e a restituirgli la forza di vivere.
            Erano passati due mesi dal giorno dell’incidente e sapeva che tutti ormai lo credevano morto. Sapeva anche che a qualcuno la sua morte avrebbe fatto piacere.
            Era stato il sorriso di Arianna a consolare V e a dargli forza, quando la disperazione sembrava avere il sopravvento. Era il ricordo delle carezze di Arianna a scaldarlo durante le notti fredde e solitarie di convalescenza. Ogni volta che aveva guardato il cielo aveva sognato gli occhi azzurri della ragazza. Ogni volta che il vento aveva soffiato, V aveva sperato che potesse sussurrargli nell’orecchio le parole gentili che Arianna era solita riservargli. In bocca gli era rimasto solo il sapore di quell’ultimo bacio bagnato di sangue e nelle narici sentiva ancora il profumo di quell’ultimo alito che era uscito dalle labbra della ragazza mentre la vita abbandonava il suo corpo.
            Anche quella notte sentiva in bocca il sapore del sangue di Arianna. Sapeva che quella notte del sangue sarebbe stato versato di nuovo e sarebbe stato il sangue di Andrea. Quel lurido bastardo! Era stato lui a uccidere Arianna. Era stato lui che quasi aveva ucciso V. Certo, se non lo avesse creduto morto, Andrea avrebbe terminato il lavoro che aveva cominciato e ora V non potrebbe permettersi di pregustare la propria vendetta.
            Avevano detto che si era trattato di un incidente. Andrea aveva perduto il controllo dell’auto andando a sbattere contro il guardrail. V era meravigliato del fatto che nessuno si fosse domandato come mai Andrea era riuscito a saltare fuori dalla macchina prima che questa precipitasse giù dal viadotto con V e Arianna intrappolati al suo interno.
            Gli inquirenti avevano parlato di incidente. La giustizia degli uomini aveva prosciolto Andrea da ogni accusa, ma V non sarebbe stato altrettanto indulgente.
            V non aveva mai fatto del male a nessuno. La prima volta in tutta la sua vita in cui si era trovato costretto a uccidere era stata al secondo giorno di convalescenza. Si era introdotto di soppiatto nel pollaio di un contadino che abitava nei pressi del viadotto da cui la macchina era precipitata. V aveva ucciso una gallina rompendole il collo ed era fuggito. Per essere più corretti si era trascinato via e lo aveva fatto anche con una certa lentezza a causa delle proprie ferite. Per sua fortuna non c’era nessuno nella fattoria altrimenti, lo sapeva bene, avrebbe fatto la fine che meritavano i ladri di polli come lui. Quella era anche stata la prima volta in cui si era trovato costretto a mangiare della carne cruda. Inizialmente la cosa gli era apparsa disgustosa, ma, boccone dopo boccone, si era reso conto che mai il cibo aveva avuto tanto sapore. Durante la convalescenza si risvegliarono in lui gli istinti predatori che fino a quel momento erano rimasti sopiti. Aveva scoperto il piacere della caccia. Aveva imparato ad appostarsi e a studiare i movimenti della sua preda. Aveva imparato a nutrirsi della paura delle proprie vittime, prima di nutrirsi della loro carne. Gli piaceva vedere nei loro occhi la consapevolezza che la loro vita era giunta al termine. Gli piaceva che si rendessero conto che sarebbero morti solo perché lui aveva deciso così.
            Nell’arco di due mesi aveva ucciso dalle due alle quattro volte al giorno. In un primo tempo le sue vittime erano state animali domestici come polli e piccioni, ma, appena le sue forze glielo avevano consentito, aveva cominciato a cacciare gli animali selvatici. Era stato sempre attento a spostarsi in modo che nessuno potesse notare la sua presenza né in quelle campagne né fra quei boschi.
            Finalmente era riuscito a tornare in città. Durante le piogge incessanti degli ultimi giorni si era rifugiato nei vicoli bui e malfamati come quello che stava percorrendo quella notte.
            Dopo aver svoltato un angolo udì delle grida soffocate. Capì che una donna stava subendo un’aggressione proprio come quando Andrea aveva aggredito Arianna il giorno in cui poi avvenne il cosiddetto incidente. V si fermò e la sua mente ritornò al pomeriggio in cui la sua adorata Arianna aveva perso la vita.
            L’auto era parcheggiata sul ciglio della strada, in prossimità di una curva a gomito. Andrea e Arianna avevano scavalcato il guardrail ed erano discesi lungo il pendio di quella alta collina. V sapeva che loro avevano già litigato a casa e sapeva che Arianna aveva voluto che quel pomeriggio ci fosse anche lui insieme a loro perché aveva paura di Andrea. Arianna aveva deciso di parlare con Andrea. Voleva dirgli che fra loro era finita, ma voleva farlo senza provocare la sua collera. Anche V sapeva bene che Andrea era un uomo irascibile, prepotente e borioso. V non sapeva se Arianna avesse deciso di chiudere la propria relazione con quel bastardo solo perché non sopportava più la sua arroganza o se perché il suo cuore ormai batteva per qualcun altro, ma era certo che Andrea l’avrebbe accusata di quest’ultima cosa. Gli uomini come lui non sono mai disposti a mettersi in discussione: se una donna decide di lasciarli, lo fa solo perché è una cagna in calore pronta a scoparsi il primo che le capita a tiro. Come se poi, quando una donna decide di lasciare l’uomo con cui vive per andare a stare con un altro, si potesse presupporre che non esistano già dei grossi problemi in seno alla coppia. V sperava che Arianna avesse deciso di stare per sempre insieme a lui anziché accontentarsi di condividere con lui i momenti in cui Andrea era al lavoro. Sperava che Arianna lo amasse quanto lui amava lei.
            Andrea e Arianna avevano percorso circa cinquecento metri fra gli arbusti che crescevano sul pendio della collina. Raggiunsero una radura. Si trattava di un posto che avevano frequentato spesso e in cui, nei primi tempi in cui stavano assieme, avevano fatto l’amore. Era stato Andrea a scegliere quel posto. Arianna avrebbe preferito parlargli altrove. Avrebbe preferito rimanere in città, senza allontanarsi così tanto e senza restare in un posto isolato. Probabilmente aveva capito anticipatamente le intenzioni di Andrea ed era stato per questo motivo che aveva voluto che V li seguisse. 
            V era rimasto in disparte, lontano dallo sguardo di Andrea. Aveva osservato il volto dell’uomo indurirsi a ogni parola che usciva dalle labbra rosse di Arianna. Vide le dita della mano destra dell’uomo chiudersi in un pugno e notò come la pelle tesa sulle nocche avesse cambiato colore passando rapidamente dal rosso al bianco. V temette che Andrea volesse colpire Arianna. Tutti i muscoli del suo corpo erano tesi, pronti a scattare. Non sarebbe riuscito a evitare che Arianna venisse aggredita, ma sapeva che nell’arco di pochissimi istanti si sarebbe potuto scagliare contro Andrea per renderlo inoffensivo. Con sorpresa di V, la mano di Andrea si rilassò e le dita si distesero. L’uomo sembrò scoppiare in una risata grossolana e volgare. V pensò che stessero parlando di lui, ma di questo fatto non gli interessava molto. I muscoli del suo corpo si rilassarono nello stesso modo in cui aveva visto rilassarsi quelli di Andrea. Arianna appariva nervosa. Era evidente che la reazione del fidanzato la stava prendendo in contropiede. V era troppo distante, ma se avesse potuto guardare dentro gli occhi della ragazza avrebbe visto che essi traboccavano di paura. A V Andrea non era mai piaciuto, ma solo Arianna aveva capito di che pasta fosse fatto quell’uomo. V non era mai stato capace di fiutare il male che permeava ogni singola azione di Andrea, né di accorgersi dell’ipocrisia con cui l’uomo sapeva mascherarsi. Quando Andrea si voltò per dare le spalle alla sua ex fidanzata, V si era assolutamente rilassato. Andrea si girò di scatto colpendo Arianna con un violento manrovescio che la fece cadere a terra. A V occorsero alcuni secondi prima che potesse rendersi conto di quello che stava accadendo. Andrea stava gridando ingiurie contro la ragazza che, inebetita, stava cercando di rialzarsi. L’uomo la colpì con un calcio all’addome facendola rotolare su un fianco.
            V si scosse dal proprio stupore e corse contro Andrea. L’uomo si accorse di lui e si preparò a riceverlo raccogliendo da terra un bastone di media lunghezza. V stava per sferrare il proprio attacco, quando il legno si abbatté sul suo orecchio sinistro. La vista gli si appannò e cadde a terra. Con una furia inaudita Andrea lo tempestò di calci nel ventre che gli fecero venire meno il fiato. Dopo i calci fu una violenta gragnuola di bastonate ad abbattersi indistintamente su tutto il corpo di V. L’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu il ghigno sadico di Andrea che troneggiava su di lui.
            Quando V riprese conoscenza, si trovava sul sedile posteriore della macchina di Andrea. Vedeva che l’uomo stava muovendo la bocca. Probabilmente stava addirittura gridando, ma le orecchie di V erano come ovattate e lui non riusciva a sentire niente. Non udiva né le urla di Andrea né le grida di Arianna che era seduta sul sedile anteriore. Non udiva neppure il rombo del motore e non udì lo schianto del guardrail che si accartocciò all’impatto con il muso della macchina che gli andò contro a una velocità di oltre cento chilometri orari.
            Quello che avvenne dopo riviveva nella memoria di V con quello stesso distacco con cui gli ubriachi rivivono alcune situazioni. Ricordava il corpo di Arianna disteso su un prato. Alcune ciocche di capelli, non più biondi, ma rossi di sangue, erano incollate sul suo bel viso.
            Quel giorno V era stato sconfitto. Non era stato capace di salvare la donna che amava. Aveva perduto tutto quello che aveva e, per poco, non perse anche la vita. Andrea aveva vinto ed era anche riuscito a farla franca. Il suo unico errore era stato quello di non sincerarsi della morte di V.
            Ormai erano trascorsi più di due mesi. Quella notte V avrebbe avuto la propria vendetta oppure sarebbe morto. Ma di questo poco gli importava. Sapeva perfettamente che quanto c’era di buono e di umano in lui, era perito insieme con l’ultimo sorriso di Arianna.
            I ricordi liberarono la mente di V e quelle grida soffocate che aveva udito lo riportarono al presente. V percorse il vicolo in cui si trovava e passò sotto un arco. In un angolo dove erano stati ammassati dei bidoni dell’immondizia vide un bruto che stava percuotendo una donna. L’uomo era chino su di lei, che giaceva a terra fra la spazzatura uscita da un paio di bidoni rovesciati. La donna evidentemente non aveva più le forze per difendersi e il bruto la stava schiaffeggiando.
            “Volevi fregarmi?”, domandava l’uomo fra un ceffone e l’altro.
            V sopraggiunse silenziosamente alle spalle dell’uomo. La prima persona che si accorse della sua presenza fu la donna. Il bruto l’aveva afferrata alla gola e la minacciava sollevando il pugno chiuso sopra la propria testa.
            “Dove sono i soldi, troia?”.
            Gli occhi blu della donna incrociarono lo sguardo ardente di odio di V. Il mascara e il trucco le si erano sciolti con le lacrime e avevano trasformato il suo volto in una maschera grottesca, ma a questo V non prestò attenzione. Si limitò a guardare quegli occhi blu, lo stesso colore degli occhi di Arianna. Il bruto si rese conto che stava per succedere qualche cosa. Si voltò lentamente senza lasciare la presa con cui stringeva il collo della prostituta.
            “Ciao bello”, disse rivolgendosi a V. “Questo non è un affare che ti riguarda. Vattene a girare da qualche altra parte”.
            V, fino a quel momento, non aveva mai ucciso un uomo. Era anche sicuro che il primo e ultimo uomo a perire sotto i suoi attacchi sarebbe stato Andrea, ma nel preciso momento in cui i suoi occhi incontrarono quelli del magnaccia, V capì che Andrea sarebbe stato il secondo uomo a morire per opera sua.
            “Hai capito, bello? T’ho detto di andartene!”.
            V si scagliò contro il bruto. L’uomo cercò di reagire all’attacco, ma venne sopraffatto in un batter di ciglio. Quando l’uccise, V fu colto da un senso inebriante di potere. Se la donna non fosse corsa via gridando in preda al terrore, V sarebbe restato in quel vicolo ad assaporare il sangue della prima creatura che aveva ucciso dando soddisfazione a un istinto differente da quello della nutrizione. Invece le grida della prostituta lo riportarono subito alla realtà e capì che era meglio allontanarsi il più in fretta possibile. Corse via lasciando dietro di sé una scia di sangue lunga quasi sei metri. Passò un’ora prima che V si fosse ripreso dall’ebbrezza dell’omicidio. Pensò anche che fosse stato opportuno fare della pratica prima di scontrarsi col suo nemico, prima di affrontare Andrea.
            Quando V raggiunse la villetta in cui abitava il suo rivale, erano quasi le due del mattino. Non avrebbe potuto scavalcare il muro di cinta, ma sapeva che in esso era stata aperta una breccia dalle macchine che lavoravano nel cantiere confinante. Ricordava anche che Andrea aveva chiuso quella breccia con una rete, ma questa probabilmente non avrebbe rappresentato un grosso ostacolo per V.
            L’ingresso del cantiere era chiuso solo con una catena da cui pendeva un cartello con su scritto: proprietà privata-divieto di accesso. V l’oltrepassò senza curarsene e raggiunse la breccia di cui si ricordava. Passare al di sotto della rete fu facile.
            V finalmente era arrivato nel giardino di Andrea. Era pronto per un faccia a faccia con l’uomo che aveva trucidato Arianna. Era pronto a regolare con lui tutti i conti. Sapeva che si stava chiudendo in un vicolo senza uscita. Sapeva che le sue azioni sarebbero state punite e sapeva che la giustizia degli uomini, che si era manifestata così indulgente nei confronti di Andrea, non sarebbe stata altrettanto indulgente con lui. V non si curava delle conseguenze che le sue azioni avrebbero prodotto. Non temeva la reazione di un ordinamento giuridico, indipendentemente dal fatto che essa potesse essere giusta o sbagliata. V aveva perso tutto quello che aveva e gli era stato inferto il massimo danno possibile. Aveva rinunciato alla propria natura giocosa e pacifica e si era trasformato in una fiera assetata di vendetta. Niente avrebbe potuto fermarlo. Niente lo avrebbe dissuaso dal suo proposito.
            Alzò gli occhi al cielo e restò in silenzio a osservare la luna. In essa credette di vedere il sorriso della sua dolce Arianna. Sapeva che lei approvava quello che V aveva deciso di fare.
            V si rese conto che la portafinestra che dava sul giardino era aperta. Si mosse lentamente e silenziosamente. Attraversò le tende trasparenti ed entrò nel salotto della villetta. Andrea era seduto su una poltrona a pochi metri da lui. Stava fumando una sigaretta e indossava l’uniforme. I suoi occhi tradirono lo stupore nel vedere V entrare dalla portafinestra come se fosse un fantasma, ma l’uomo seppe mantenere il proprio autocontrollo.
            “Vedo che sei riuscito a tornare”, disse Andrea con la voce impastata dall’alcol. “Ti credevo morto”.
            V restò in silenzio e si limitò a osservare l’uomo.
            “I tuoi occhi trasudano odio”, constatò Andrea. “Scommetto che sei qui per vendicarti. Tu credi che sia stato io a uccidere Arianna. Non credi che si sia trattato di una fatalità… e forse, al tuo posto, la penserei come te. Ma come vedi io non riesco più nemmeno a dormire. Passo le mie giornate al lavoro e le mie notti su questa poltrona bevendo whisky e fumando le mie Camel”.
            Andrea spostò lo sguardo sul tavolino alla sua destra. I suoi occhi cercavano l’arma d’ordinanza. La Beretta P 92 era proprio lì, a pochi centimetri dal pacchetto di sigarette e dal posacenere. Andrea si tolse dalle labbra il mozzicone di sigaretta e lo spense nel posacenere. Eseguì ogni suo movimento con molta lentezza: sapeva che aveva addosso gli occhi di V e sapeva che era pronto ad aggredirlo in qualsiasi momento. V, infatti, mentre seguiva con attenzione i gesti di Andrea, aveva tutti i muscoli del corpo tesi. Era pronto a scattare.
            “Tu non mi crederai”, disse Andrea dopo aver spento la sigaretta e dopo aver riportato la mano sul bracciolo della poltrona, “ma mi dispiace per tutto quello che è successo! E per quanto possa valere, ti chiedo scusa per averti preso a bastonate e per aver cercato di ucciderti”. Sempre con lentezza riportò la mano al tavolino. Le sue dita erano a pochi centimetri dall’impugnatura della Beretta. V fece un passo in avanti, fu un movimento quasi impercettibile, ma Andrea lo scorse e con nonchalance oltrepassò l’arma per raggiungere il pacchetto di Camel e prendere una nuova sigaretta. Se la portò alle labbra e l’accese.
            “Io non volevo che Arianna morisse. Certo non volevo neppure che mi lasciasse, ma nemmeno che morisse, questo no”. La voce dell’uomo era sempre più impastata, il suo sistema nervoso era intorpidito dal whisky
            “Io ti parlo”, disse Andrea. “Ma che cosa lo faccio a che fare? Tanto tu non mi puoi ascoltare. Che cosa cazzo puoi capire tu?”.
            Poi Andrea cominciò a gridare:
            “Tu e quella puttana di Arianna dovreste bruciare insieme all’inferno”. Con un gesto assai rapido impugnò la P 92 e la puntò contro V, che già aveva spiccato un balzo contro di lui. Andrea sparò, ma il proiettile andò a piantarsi nel muro di fronte. Gli restò a malapena il tempo per lanciare un insulto finale prima che V, il cui nome completo era Vlad, affondasse le proprie zanne nella gola dell’uomo. Andrea afferrò il collo del grosso cane, ma ormai i denti di Vlad erano conficcati nella sua giugulare. Il rottweiler si liberò con facilità dalla presa dell’uomo e gli strappò via la gola.
            Vlad vide gli occhi di Andrea spengersi a poco a poco e, con essi, vide svanire tutto il male che faceva parte della natura di quell’uomo orribile.
             Quella notte V apprese che niente nella vita è più dolce del sapore della vendetta. Niente se si escludono le carezze di cui Arianna, la sua padrona, era solita colmarlo mentre lui le faceva le feste e quando si sdraiava sul dorso offrendole la pancia da grattare.
            Alcuni giorni dopo i carabinieri riuscirono a catturare quel cane che si riteneva avesse ucciso due persone in una sola notte.
            Con V la giustizia degli uomini non fu indulgente come lo era stata con Andrea. V aveva assaggiato la carne proibita così come Adamo aveva mangiato la mela della conoscenza. Vlad fu soppresso il giorno seguente quello della sua cattura. Poco prima che dai suoi occhi fuggisse la luce, vide Arianna venirgli incontro. La ragazza si chinò su di lui e lo accarezzò in mezzo alle orecchie.
            “Fra poco saremo di nuovo insieme, piccolo mio”, sussurrò.
            V si alzò da terra e se ne andò insieme alla donna che amava.
            Sapeva che quell’istante sarebbe durato per tutta l’eternità.
 
 
                                                           12-17 dicembre 2003