Il Volo dell'Astore (estratto)

 

         Edoardo vide corridoi sordidi, lastricati di piastrelle bianco sporco, sui quali si aprivano numerose porte di stanze d’ospedale. Uomini, una volta validi e pieni di vita, distesi in letti angusti con le membra straziate dall’artite e deformate dall’artrosi. Le mani doloranti, con la pelle maculata e le dita storte, incapaci di serrarsi a pugno e afflitte da un tremito perpetuo. Uomini giacere nei propri escrementi senza nessuno che si curasse di pulirli; donne distese in letti invasi dalle formiche. Il suono gracchiante di campanelli alla cui chiamata nessuno rispondeva. E in mezzo a tanta miseria, nessun familiare a prendersi cura di loro, nessun sorriso compassionevole che avesse rispetto della loro sofferenza e che alleviasse il tormento. Un decadimento fisico e mentale, come se la vita dicesse loro: non ho più bisogno di voi; potete togliere il disturbo.

          Un declinio inesorabile circondato dalla solitudine, dall’indifferenza e dalla morte; un percorso crudele e così privo di qualsiasi senso e di qualsiasi giutificazione.

         Era la vergogna di sentirsi indecendi e indesiderati, inutili per se stessi e per gli altri; la vergogna di aver perduto ogni bellezza e qualsiasi libertà.
         E poi il tempo: tanto tempo che trascorre in modo ripetitivo permettendo solo di vivere nel ricordo di una vita che fugge e di rimpiangere tutto ciò che avrebbero desiderato e potuto realizzare senza avere mai il coraggio di tentare, paralizzati dall’incertezza o dal timore di fallire. Tanto tempo per pentirsi di tutte le azioni commesse e che non avrebbero mai dovuto compiere. L’inesorabilità di un gioco ormai concluso e immutabile, senza alcuna speranza di riparare gli errori, senza alcuna speranza di avere una seconda possibilità.