Prefazione
 
                        Di tutte le arti dell’immaginazione, il racconto è senza dubbio una delle più difficili da realizzare. Come si può rendere interessante e avvincente quest’essenza della creazione che si concretizza attraverso l’ascesi narrativa (intesa come impoverimento delle azioni, dei personaggi, delle descrizioni), che può essere definita soltanto attraverso la loro carenza rispetto al romanzo, del quale il racconto è la versione alleggerita e decantata?
                        Con un talento stupefacente e con una vera autenticità creatrice, Carlo Baldacci Carli impone nella sua raccolta Giochi d’Equilibrio un’impeccabile maestria di questo genere letterario.
                        Da un punto di vista strutturale abbiamo a che fare con un’opera dove la novità creatrice s’impone all’interno del confine di un genere letterario reputato immutabile.
                        Ogni racconto obbedisce a un imperativo di brevità grazie al quale, a differenza del romanzo, il suo riassunto può essere semplicemente condensato in una frase: La vendetta è veramente la storia di una vendetta così come Il pranzo di Luisa è la descrizione di una festa data da una figlia amorevole in onore del padre defunto. Tuttavia questa raccolta meraviglia perché riesce a unire sotto una forte unità strutturale una grande varietà di storie e di voci narrative. Infatti nessun racconto è simile a un altro. E ciascun racconto ha un suo tono peculiare, un suo universo definito, una sua propria storia: sia che parli di un frammento di vita quotidiana (Il pranzo di Luisa), sia che ruoti intorno alla commistione fra il sogno e la realtà (Il centro dell’equilibrio), sia che instauri un’ambiguità fondamentale (La vendetta) o che sia impregnato di un’elegia che lo trasforma in una poesia in prosa (Come un naufrago, Il tuo nome nel vento, Vorrei, Necrologio di un esteta).
                        Giochi d’equilibrio è una raccolta che rispetta, attraverso una grande complessità di tonalità e una grande varietà di atmosfere, tutte le caratteristiche di questo genere letterario. Ogni racconto è costruito con una rigorosa trattazione del testo che rispetta le regole canoniche. È veramente quella «course au clocher » della quale parla Jules Janin e che Carlo Baldacci Carli conduce a gran galoppo; un ritmo incalzante fa sempre vibrare la narrazione con vivacità. Ciascuno dei suoi scritti è incentrato su un frammento della vita del protagonista: il misterioso V, la tenera Luisa, l’enigmatico viaggiatore de L’uomo con la valigia, il tormentato Zaul. Si ascolta un’unica voce narrativa che distingue i racconti dalla polifonia romanzesca e che qui si riempie di una palpitazione elegiaca: il lirismo passionale di Come un naufrago e il lamento malinconico de Il tuo nome nel vento hanno tutta la seduzione della poesia; la confidenza de La vendetta al contrario impone un ritmo drammatico che trascina il lettore in convulsioni di collera e di dolore. Questi racconti hanno quel rigore di costruzione che, secondo Baudelaire, rende pregevole questo genere letterario, dove già la prima frase ha lo scopo di preparare « l’impression finale ». L’autore riesce a spiazzare il lettore con sorprendenti colpi di scena e decentra l’equilibrio narrativo delle proprie storie (così come già promette il titolo della raccolta) proponendo una singolare inversione dei ruoli: si pensi alla stupefacente rivelazione della natura del protagonista de La vendetta o alla fine destabilizzante de Il centro dell’equilibrio, al giro di danza che conclude vertiginosamente Il pranzo di Luisa o al braccio di ferro psicologico fra i protagonisti de L’uomo con la valigia e ancora alla sottile ambiguità che distingue i ruoli di vittima e di carnefice ne Il cuore spezzato e ne La villa in fondo al viale. Maliziosamente, Carlo Baldacci Carli gioca col proprio lettore disseminando a profusione indizi rivelatori. Leggendo con attenzione La vendetta si noterà che un raffinato gioco linguistico e tutta una serie di allusioni permettono di rendere la sorprendente rivelazione finale perfettamente credibile. Lo stesso rovesciamento della situazione e del tono si presenta ne Il pranzo di Luisa: in apparenza l’alterazione dell’atmosfera iniziale è radicale; non c’è nessun legame apparente fra il realismo dell’inizio e il finale surreale! E pertanto l’arte dello scrittore si manifesta interamente in quest’irresistibile scivolare da un genere all’altro, da un tono all’altro, da un’atmosfera all’altra. Partendo da questo, l’autore riesce a fondere armoniosamente le due tentazioni di questo genere narrativo: il reale e il fantastico. Il racconto generalmente è sia la descrizione realistica della vita quotidiana sia la creazione di un mondo immaginifico. Qui è la vita stessa ad essere un mondo immaginifico. La quotidianità è permeata in maniera sotterranea da un surrealismo affascinante. Il centro dell’equilibrio è forse la forma, la più elaborata, di questo passaggio dal reale al fantastico al mitologico. Manuel Federici, il protagonista-scrittore seduto davanti al proprio computer, solitario sia a causa del proprio mestiere, sia perché ha perduto la donna amata, assomiglia a ciascuno di noi. E pertanto egli, poco a poco, finirà con l’indossare tutte le maschere di una serie di metamorfosi iniziatrici: egli diviene il Grande Vendicatore a cui viene rubata la propria vendetta, lo Scrittore che vede incarnarsi il proprio mondo immaginario, l’Iniziato che forse riuscirà a raggiungere qualche Oltremondo.
                        Questa maestria quasi diabolica dell’arte di narrare, l’autore la manifesta ancora attraverso l’uso del binomio spazio-tempo. Se normalmente il racconto corre il rischio di essere statico poiché costituisce un taglio trasversale fra lo spazio e il tempo, qui è l’inverso. Qui tutte le storie precipitano in un vortice spazio-temporale: lo spessore spaziale e lo spessore temporale. Così alcune pagine de  Il centro dell’equilibrio passano dallo spazio chiuso della camera agli spazi aperti di Roma (Via Condotti, Piazza di Spagna, La scalinata di Trinità dei monti, Via dei Coronari…) fino allo spazio chiuso, ma pregno di quell’immensità del surrealismo letterario di un Caffè, il Caffè della Pace, dove l’eroe-scrittore si ritrova faccia a faccia con il protagonista di una delle sue proprie storie, prima di cadere in un ambiente urbano completamente rivestito da una spazialità allucinatoria e con un simbolismo esoterico evidente: « … Piazza Navona… al suo centro non c’era più la Fontana dei Fiumi del Bernini. C’era un obelisco enorme di cristallo rosa » replica di quello che il protagonista porta intorno al collo. Poi lo spazio si restringe brutalmente allo choc frontale di un incidente stradale forse prima di dilatarsi all’infinito. Sia dell’amore sia della morte. Si vede bene che la seduzione della scrittura di Carlo Baldacci Carli risiede nella messa in scena quasi cinematografica, donata spontaneamente ai propri scritti. Questa rapida successione di primi piani dona a Il centro dell’equilibrio un ritmo incalzante. Ma questo stesso procedimento gioca con altrettanta efficacia e con maggior dolcezza ne Il pranzo di Luisa: il suo inizio è dominato da un realismo quasi prosaico, il corpo centrale trasmette tutta quell’atmosfera desueta propria della vita di una zitella, la fine altalena fra un incubo e un sogno magico; tutto questo è condotto con una continuità quasi totale di unità di luogo: la casa dove si dissecca la vita della protagonista e poi la sala da pranzo in cui la tavola diviene lo Straordinario nel Quotidiano, l’incredibile nel fantastico!
                        Si trova la medesima volontà di movimento anche nella successione temporale. La vendetta è sì un vai e vieni dal passato al presente che tiene il lettore in uno stato di tensione continua. Anche la liricità di Come un naufrago vibra di tutte queste oscillazioni spazio-temporali: alla solitudine del narratore derelitto risponde l’evocazione per grandi immagini dei momenti conviviali dei pranzi con gli amici; si oppongono poi gli spazi sconfinati del mare e del cielo, luoghi di derelizione e di solitudine che lasciano l’uomo faccia a faccia con se stesso, e l’ambiente rassicurante di socialità rappresentato dal ristorante dove si riuniscono gli amici. Un dualismo che mette a confronto la solitudine del narratore che affoga il proprio spirito nell’alcol e la fratellanza di questi uomini, accompagnati dalle loro donne, che assaporando il vino vivono l’esperienza della socializzazione, del calore umano, dell’armonia. O, ancora, la deriva del protagonista nell’immensità dell’acqua e il cerimoniale del pranzo dove le risate e i gesti stabiliscono fra le persone una pace rassicurante. Allo stesso tempo, un gioco di temporalità fa ruotare la narrazione dal passato, attraverso rapidi flash, a un presente grigio, a un futuro, che sarà inteso come il futuro degli altri personaggi, all’eternità, quando l’acronia della mitologia fa rivivere la guerra di Troia o Poseidone, il dio del mare…
                        Di racconto in racconto, Carlo Baldacci Carli costruisce un autentico universo creativo, caratterizzato attraverso quella che Proust chiama l’identità della bellezza dove si manifesta una coerenza di creazione. Il suo universo romanzesco impone in principio una sensualità esplorata voluttuosamente. Questo mondo così giubilante è un mondo estremamente ambiguo come il simbolismo rappresentato dalla luce delle candele nel suo romanzo omonimo Alla luce delle candele, che è ancora inedito. La luce delle candele è l’ultimo riflesso di questo scintillare terreno, solare, marino che colora le pagine di Come un naufrago. Questa luce illumina e nasconde, scopre e ricopre, fino a gettare la realtà nell’ombra. Essa è anche la prima e l’ultima luce. Essa esiste solamente se è scolpita dentro le tenebre. Tutte le tematiche che arricchiscono l’universo di Carlo Baldacci Carli sono là, prigioniere di una luce che è vitale perché evocazione d’erotismo, perché ancora incandescenza ma ormai moribonda. Il mondo romanzesco dell’autore è al tempo stesso straripante di vita e pericolosamente vicino a scomparire. Ciò spiega il fascino per la vertigine che è il file rouge dei suoi racconti. Come manifesta la citazione da Calderon da la Barca, in Come un naufrago, secondo la quale la vita è un sogno, l’universo dell’autore si muove sul filo di una vacillazione permanente. La vertigine del diluire soffoca il narratore di Come un naufrago, rapito da una deriva interiore, scaturita da un malessere fisico, espressa dalla paura di perdere se stesso, simbolizzata attraverso la metafora del naufragio: « Sono un naufrago nel mare della mia aridità ». La vertigine trasporta Luisa nel vortice finale della danza con lo spettro di suo padre. La vertigine è l’essenza stessa del protagonista de Il centro dell’equilibrio: « Che cosa sto cercando ? L’equilibrio che hai perduto ». In questo racconto l’autore esprime tutto ciò attraverso una serie superba di metafore. La vertigine compare concretamente con quella sensazione di vuoto nata nell’oscurità notturna della camera e con quel silenzio causato dall’abbandono della donna amata. Essa è ancora simbolizzata dalla difficoltà di controllare l’assetto della motocicletta, col rischio costante di cadere a terra: « Temette di perdere l’equilibrio ». Metafora della strada della vita, con i suoi pericoli (La motocicletta vacillò) e la sua meravigliosa sensazione di poter volare (Federico si sentì sollevato). C’è ancora una vertigine nella costante vacillazione delle proprie certezze. A che cosa la mente umana si può aggrappare? Qui l’amore è sfuggente, l’odio sembra essere un appiglio, ma il protagonista viene repentinamente frustrato dalla morte del proprio nemico: « Assassinando il tuo nemico ti ha rubato la vita ». Federico è tentato di darsi la morte: il suicidio è ancora una certezza, quella di conoscere la propria fine, ma ancora una volta gli viene rubata la propria morte. La sua affezionata lettrice, che lo salva, per Federico non è tanto l’immagine di una seduttrice, quanto la mediatrice verso un altro mondo. La vertigine fonde i due mondi della finzione e della realtà. La lettrice svanisce per lasciare lo scrittore di fronte a un personaggio dei suoi stessi romanzi: « Io sono una tua creazione, un parto della tua fantasia ». È dunque nella finzione che egli trova la chiave della vita. Restano ancora due livelli che Federico deve affrontare: l’uno esoterico, dove il macrocosmo mitologico riflette il microcosmo interiore; l’altro definitivo è una porta aperta verso l’Aldilà. Federico attraverserà questa porta?
                        L’interesse e la seduzione, che è al tempo stesso luminosa ma piena d’ombra, trepidante di vitalità ma attanagliata dalla disperazione, ludica ma qualche volta perversa, dell’universo letterario di Carlo Baldacci Carli, nascono da quella domanda così importante che l’autore illustra con talento in tutte le sue opere: « In fin dei conti che cos’è la vita se non un gioco d’equilibrio? Equilibrio fra il nascere e il morire, fra il sogno e la veglia, fra la lucidità e la follia ».
 
Marie-Hélène Ferrandini
 
Professoressa di Letteratura Francese all’Università Pasquale Paoli di Corsica